Osservazioni dell’Arch. Simone Larini su RIFIUTI e IMPIANTI nell’area metropolitana FI/PT

by

Riapro la settimana con il tema “Rifiuti e impianti necessari nell’area metropolitana Firenze/Pistoia” perchè in tal senso esiste un ulteriore contributo dell’architetto Simone Larini, autore di una dozzina di Piani provinciali sui rifiuti, prevalentemente nel Nord Italia, scritto in risposta ad una recente intervista all’Assessore regionale Anna Rita Bramerini (pubblicata sulle pagine di Metropoli a febbraio) che non sono riuscito a trovare… ma immagino che – in quell’intervista – l’Assessore Bramerini abbia difeso la necessità di costruire un nuovo inceneritore e di potenziare i tre piccoli inceneritori esistenti. Mi preme ricordare che Larini è una persona che ha la “forza” derivante da un’esperienza e da una  professionalità notevole, doti dimostrate ampiamente anche dal sistema attuato nell’area della provincia di Treviso che viene visitato da delegazioni di tutta Europa… come esempio da imitare ovviamente.
La Regione Toscana, le tre Province e molti Comuni dell’area metropolitana FI/PT pare non vogliano rispondere nel merito ad alcune evidenti contraddizioni contenute nel Piano preliminare interprovinciale sui rifiuti nell’ATO “TOSCANA CENTRO”, eccole elencate:
1) Se è sincera la volontà di realizzare il 65% di raccolta differenziata (non dico entro il 2012, come scritto in quel Piano preliminare…, ma almeno entro il 2014/2015), tramite la generalizzazione dell’unica modalità che consente di farlo e di realizzarla con la qualità indispensabile perchè abbia davvero uno sbocco di mercato (cioè la modalità “porta a porta”), nel 2014/2015 la quantità di rifiuti indifferenziati (da smaltire tramite appositi impianti) sarà di circa 300.000 tonnellate annue (circa 830 tonnellate al giorno, risultanti dal seguente calcolo: 1.500.000 abitanti di un’area che vuole separare in modo più rigoroso i rifiuti urbani da quelli derivanti dalle attività produttive e che fanno la raccolta differenziata p.a p. non possono produrre più di  600 Kg annui ad abitante, per un totale di 906.000 tonnellate all’anno: togliendo il 65% di R.D. rimangono circa 300.000 tonnellate l’anno, cioè circa 830 tonnellate al giorno).
2) Se è vera la volontà di realizzare il 65% di raccolta differenziata (cioè parole scritte solo perchè c’è un obbligo di legge che impone di scriverle, ma senza nessuna intenzione di realizzarle davvero), allora è necessario fare una scelta conseguente sulle priorità degli investimenti:
– E’ prioritaria la scelta di realizzare un nuovo inceneritore (con un costo effettivo di circa 200 milioni di euro e che sarà pronto non prima del 2016) pur sapendo che – se viene davvero realizzata la raccolta differenziata e di qualità al 65% – potrebbe non trovare nell’area metropolitana i rifiuti “necessari” a funzionare al massimo delle potenzialità stabilite e tali da essere gestito in modo “economicamente valido”) ?
Oppure è prioritaria la scelta di realizzare – nell’area metropolitana – gli investimenti per generalizzare davvero la raccolta differenziata “porta a porta” e gli impianti industriali indispensabili al riciclaggio effettivo (tramite il mercato) dei rifiuti organici e dei rifiuti secchi differenziati e di qualità (impianti che costerebbero molto meno – sicuramente assai meno della metà – dei 200 milioni di euro necessari per il nuovo inceneritore e quindi con un conseguente contenimento delle tariffe sui rifiuti a carico di famiglie e aziende),  che sono realizzabili in tempi assai più rapidi e con una consenso popolare assai più largo ?
La conseguenza della prima scelta sarebbero tariffe più alte e anche un peggioramento della qualità dell’aria nell’area metropolitana (perchè un inceneritore che brucia 500 o 600 T/G, ovviamente, emette più nanoparticelle – inferiori a PM2,5 – di quelle che emette un inceneritore che brucia 150 T/G): aria che, per molte cause presenti nell’area metropolitana (emissioni di molte migliaia di industrie, impianti di riscaldamento di centinaia di migliaia di edifici, autostrade e strade attraversate da molte centinaia di migliaia di automezzi, aereoporto e centri commerciali) è  difficilmente migliorabile in tempi brevi (ma dovrebbe/deve essere una responsabilità di tutti… – a partire da Regione, Province e Comuni – fare scelte che non la peggiorano).
La scelta di superare i 3 ATO e di farne uno unico in tutta l’area metropolitana, non può e non deve avere come conseguenza quella di sommare le scelte impiantistiche fatte nel 2003 (quando nessuno parlava di realizzare una raccolta differenziata di qualità al 65%): per fortuna, la costruzione di un nuovo inceneritore non è ancora stata appaltata e iniziata e quindi (se c’è la volontà politica di attuare una moderna politica sui rifiuti, prendendo a esempio quella realizzata nelle provincia di Treviso, che non è una piccola provincia: mi sembra di aver letto che ha oltre 800.000 abitanti) è ancora possibile fare scelte diverse e finalizzate a realizzare davvero un moderno sistema di raccolta e di smaltimento dei rifiuti (meno costoso e più rispettoso dell’ambiente e della salute dei cittadini).

RIFIUTI E IMPIANTI NECESSARI
NELL’AREA METROPOLITANA FIRENZE/PISTOIA – OSSERVAZIONI SULL’INTERVISTA A METROPOLI DELL’ASSESSORE BRAMERINI
Caro Direttore, dopo aver letto l’intervista all’assessore Bramerini sul numero scorso di Metropoli, le scrivo al fine di offrire un costruttivo contributo, da pianificatore esperto, per spiegare perchè ritengo sia indispensabile fare una revisione della pianificazione sui rifiuti, non per “tornare indietro”, ma al contrario per adeguarsi allo stato dell’arte nella materia, riducendo i costi per imprese e cittadini. E’ risaputo che ogni scelta e previsione contenuta in un piano non è immutabile nel tempo, ma deve essere soggetta a periodica revisione, alla luce delle nuove e mutate condizioni al contorno che si sono nel frattempo verificate.
Ciò è normale, tant’è che il piano della Provincia di Firenze ha già avuto tre revisioni. Il problema è però che i diversi adeguamenti registrati nelle varie versioni del piano non hanno mai interessato le scelte impiantistiche, sebbene nel 2011 non esistano più i numeri che le giustifichino.
L’impostazione strategica del piano va radicalmente cambiata, per almeno tre buoni motivi.
1) Bisogna adeguare il piano ai tanti cambiamenti avvenuti nel quadro generale:
– l’abolizione dei contributi CIP6 all’incenerimento;
– il nuovo obiettivo minimo di legge del 65% per la RD, che per essere raggiunto rende indispensabile un cambiamento dei metodi di raccolta in atto;
– le nuove norme che limitano al massimo l’assimilazione agli urbani dei rifiuti speciali;
– la diffusione in Italia dei sistemi di tariffazione “puntuale”, basati sul principio “chi più produce rifiuti più paga”;
– il successo, in termini di risparmio economico e di risorse, registrato dalle esperienze di gestione dei rifiuti nel Nord Italia, ormai un modello per tutto il mondo.
2) Il piano attuale contiene numerosi errori, che vanno assolutamente corretti.
Tra i tanti, cito solo:
– analisi merceologiche sbagliate, che sottostimano la reale consistenza della frazione rifiuto principale e più strategica: la sostanza organica, che invece del 27% è almeno pari al 45%;
– la previsione di costruire ben tre nuovi impianti con una spesa inferiore a 200 milioni di euro, cioè con meno di quanto sia oggi necessario per realizzare un impianto di tipo moderno, rispondente allo stato dell’arte;
– una previsione impiantistica sovradimensionata: è infatti ignorato l’effetto di riduzione della produzione procapite da parte dei nuovi sistemi di RD.
Lo stesso piano afferma che l’unico modo per raggiungere l’obiettivo del 65% di RD è quello di passare a sistemi di raccolta di tipo domiciliare. Purtroppo non viene considerato che tali sistemi, soprattutto quando accompagnati dalla tariffazione “puntuale”, determinano inevitabilmente una riduzione della produzione procapite di RSU.
Nella quantificazione del deficit di smaltimento in impianti, il piano ha quindi ignorato questo doppio effetto di riduzione del fabbisogno di smaltimento, dovuto all’aumento del tasso del riciclo, alla riduzione dei quantitativi di rifiuto complessivamente prodotti e anche al mancato conferimento assieme agli RSU di quote di rifiuti speciali.
Ipotizzando, con una stima molto prudenziale, che la RD arrivi al 65% e la produzione procapite di RSU scenda sul livello della media nazionale (500 kg/a, ma si può fare molto meglio), nell’Ato Toscana Centro il fabbisogno di smaltimento sarebbe dell’ordine di 200mila t/anno, un quantitativo ben inferiore di quanto ipotizzato dal piano (che ancora nel 2007 stimava oltre 500mila t/a di fabbisogno) e insufficiente a giustificare la costruzione anche solo di un nuovo impianto (gli impianti moderni per risultare convenienti debbono avere una potenzialità di almeno 600mila t/a).
– bacinizzazione sbagliata: il bacino Chianti, che è già sede di un impianto che lo rende autosufficiente in termini di fabbisogno di smaltimento, viene triplicato inglobando senza motivo comuni dell’area fiorentina, e così facendo viene invece trasformato in un bacino con deficit di smaltimento.
3) invece di registrare un continuo aumento delle tariffe, introducendo un sistema moderno di gestione si ridurrebbero sicuramente i costi.
I sistemi modello del nord Italia hanno infatti un costo specifico sensibilmente inferiore a quello che si registrerebbe nell’ATO dando seguito a tutte le scelte di piano.
La necessaria rivoluzione nel sistema di gestione dei rifiuti è inevitabile ed è stata annunciata dal documento preliminare per il nuovo piano dell’ATO Toscana Centro del giugno 2010, in cui sono per la prima volta stabiliti in maniera ufficiale alcuni degli elementi essenziali di un modello di una gestione moderna ed economica dei rifiuti: separazione dei flussi di RSU e RSA, tariffazione puntuale, eliminazione dei contenitori stradali anonimi, restrizione della possibilità di assimilare agli urbani i rifiuti speciali, RD diffusa dei rifiuti organici.
Applicare tali principi porterebbe benefici per tutti: il rifiuto residuo da smaltire nell’ATO sarebbe dell’ordine di 100-200mila t/a e si ridurrebbero le tariffe per cittadini e imprese.
Concludo auspicando l’applicazione anche in Toscana di uno dei fattori di successo delle esperienze del nord Italia: non solo la separazione dei flussi di RSU e RSA, ma l’impiego di un gestore unico il per servizio di gestione di entrambi i tipi di rifiuto.
In questo modo, le utenze commerciali, artigianali e industriali non sono più “abbandonate a se stesse”, ma invece fruiscono di un servizio garantito di smaltimento, con tariffe oneste, di tipo “puntuale” e diversificate per tipo di materiale, al fine di incentivare sia la riduzione che la
differenziazione dei rifiuti.
Simone Larini, Autore di una dozzina di piani di smaltimento di rifiuti, tra cui quelli di Brescia e Treviso.
(Per ulteriori informazioni sulle proposte di Simone Larini, vedi su www.inforifiuti.com )

Tag: , , , , , , , , , , , , ,

Lascia un commento