Chiare, fresche, dolci e “nostre” acque

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Sempre con l’importante contributo di Paolo Lombardi, vi sottopongo un nuovo post sull’acqua e sui pericoli della privatizzazione di questo indispensabile servizio pubblico. Stavolta affronteremo l’argomento rivolgendo le nostre attenzioni di osservatori oltralpe, per capire e comprendere quanto potere economico si cela dietro al miraggio delle privatizzazioni nei paesi europei che le hanno già attuate da tempo e che hanno, loro malgrado, pagato per questi errori.

“Chiare, fresche, dolci acque”. Fosse vissuto oggi, c’è da credere che una lirica così Petrarca non l’avrebbe mai scritta; oppure avrebbe scritto: Chiare, fresche…private… care… Non vediamo le benefiche virtù del mercato e del modello toscano di gestione pubblico-privata dell’acqua, così geniale e coerente che l’hanno applicato..perfino a Cuba? E’ probabile allora che anche in Francia non le vedano. Per chi ha la pazienza di leggere, ecco la storia della privatizzazione dell’acqua francese, specchio di quello che potrebbe accadere anche qui (in parte, è già accaduto e purtroppo la triste vicenda di Latina ne è l’esempio).
In Francia, sotto forma di contratti di delega di pubblico servizio (DSP), tre società, la Veolia, la Suez-Ondeo, la Saur, hanno il monopolio dell’80% del mercato della produzione, della distribuzione dell’acqua e del 55% del servizio di depurazione (dati 2008). Il resto è in mano a operatori pubblici e aziende miste. Si tratta di un fenomeno per lo più francese, visto che nel mondo solo il 7-8% è in mano a società private o miste pubblico private. Ma c’è da pensare che l’Italia, grazie alla recente legge Ronchi ed alle presunte bontà del modello toscano, faranno salire questa percentuale.
Questo sistema piace molto ad amministratori e politici, nonché a proprietà ed azionisti delle suddette società, ovviamente non piace ai cittadini. Tutto ha inizio nel 1996, quando il sindaco di Grenoble, Carignon, fu condannato a 4 anni di reclusione e a 60.980 euro di multa per aver ricevuto una mazzetta di 2,9 milioni di Euro in cambio della privatizzazione della gestione dell’acqua comunale, da allora sono spuntate come funghi unioni di consumatori che hanno dato vita al coordinamento delle associazioni dei consumatori dell’acqua (Cace). In due inchieste del 2006 e del 2007, le unioni dei consumatori hanno denunciato tariffe “molto spesso abusive” nelle grandi città e messo l’indice su guadagni sperticati fatti dagli operatori privati. In particolare, il Sindacato dell’acqua dell’Ile de France (Sedif), che opera in 144 comuni della cintura parigina, realizza profitti annui del 58,7%. La Sedif obiettò a tale risultato, e si espresse in materia l’Authority sulla concorrenza, la quale rilevò che la concorrenza di pochi grandi gruppi non è sufficiente a far scendere il prezzo dell’acqua. Dati confermati dall’Istituto Francese dell’ambiente (Ifen), calcolò che solo la gestione pubblica è in grado di calmierare il prezzo dell’acqua e che a fronte di un costo pubblico di Euro 2,19 a metro cubo, il costo al privato cittadino era di euro 2,93 al metro cubo. C’è da chiedersi la differenza dove vada a finire ! Ovviamente nel consorzio privato (o pubblico-privato). Non c’è da meravigliarsi se la città di Parigi si è ripresa in mano la gestione dell’acqua (affidata in precedenza, combinazione incredibile, a Veolia e Suez) seguita da altre 50 città francesi, spesso sulla spinta di cittadini esasperati da tariffe esagerate. E’ quindi ovvio che i profitti persi in Francia, Veolia e Suez dove li devono recuperare se non in Italia, “of course”; ecco pronta la legge Ronchi che impone la privatizzazione della gestione dell’acqua dal 2011; ecco pronta la decisione di costruire inceneritori e centrali nucleari (che poi costruisce e gestisce Veolia, ovvio). Insomma: gli azionisti devono essere remunerati e questi soldi qualcuno li deve pagare, magari grazie ad amministratori compiacenti che si sono inventati il modello toscano (che alla luce di quanto accaduto in Francia, tanto toscano non lo è).
Ma può accadere qualcosa, il meccanismo si potrebbe inceppare. In Francia i cittadini si sono organizzati, ed il meccanismo si è fermato. Nulla vieta di farlo anche in Italia. Il referendum per la ripubblicizzazione dell’acqua va appunto in questa direzione, sarebbe il primo colpo che i cittadini battono per dire, forte e chiaro che le chiare acque (ma anche l’aria, l’ambiente, tutti i beni comuni) sono fresche… dolci… e soprattutto sono “nostre”.

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2 Risposte to “Chiare, fresche, dolci e “nostre” acque”

  1. ACQUA: Tutto quello che c’è da sapere prima del Referendum .. « Campi Bisenzio Notizie Blog Says:

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  2. Aundrea Svetlik Says:

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